Its e formazione. Scuola, lavoro e domanda
DI GIGI COPIELLO –
Orientamento in corso: sono i mesi delle grandi scelte, per le famiglie e per i ragazzi, che devono decidere quali scuole frequentare nel 2021.
Quali scuole superiori, ma anche quali Università. E quali ITS, si deve aggiungere. “Ma cos’é l’ITS?“, ognun si chiede e nessun lo sa. Questo, ad ora, lo stato dell’arte: l’ITS è il grande assente. Il buco nero della formazione italiana. Mentre nel mondo degli ITS transitano ogni anno circa 900.000 ragazzi in Germania, 500.000 in Francia e numeri importanti anche in Spagna, in Italia, in tutta Italia, non arriviamo a 20.000 ed in Veneto siamo ben sotto i 2.000.
Si deve spiegare allora cos’é l’ITS. E’ un biennio, dopo il diploma di scuola superiore. Nel biennio si fanno 2.000 ore, metà di formazione in aula e metà di formazione al lavoro in impresa. Comprende diversi indirizzi (per il Veneto si veda www.itsacademy-veneto.com) . “Garantisce” (si può dire, in questo caso) un lavoro sicuro. Ed un buon lavoro, di responsabilità e competenza. Non chiude poi la strada verso l’Università: le cosiddette “passerelle” danno luogo al riconoscimento di crediti formativi. L’offerta, quindi, c’è. Ma “il cavallo non beve”, e la domanda latita. Anzi: si va all’Università, già mettendo in conto che poi si abbandona (il 30% nel triennio di Ingegneria a Padova!). Si va subito al lavoro, in quel mondo del lavoro che oggi ha per patrono San Precario.
“Il cavallo non beve”. Ed il problema è maledettamente serio. Specie per la nostra realtà di piccole e medie imprese, dove la sopravvivenza e lo sviluppo si giocano meno sulla forza finanziaria e commerciale e più sulla competenza del capitale umano. In questo l’ITS sembra fatto “su misura”: non ormai generalista come il diploma, non molto specialista come la laurea. Eppure il cavallo non beve e la domanda latita. Aumentano l’iscrizione a tutti gli altri livelli di studio, non decolla quello degli ITS.
Sarebbe il caso ed il tempo, allora, di aggiornare la strategia. Fino ad oggi ci si è dedicati alla offerta e nessuno ha pensato ad organizzare la domanda. Nel mondo si pensa a come vendere più a che cosa produrre (Amazon insegna…). Qui è avvenuto il contrario. Tant’è che l’orientamento è curato da ciascuna Academy, su tutto il Veneto, all’insegna dell’ognun per sé e dio per tutti. E il cavallo non sa dov’è l’acqua. Peggio: si svaluta il prodotto. Gli ITS, offerti alla rinfusa, si confondono nel mare magno dei corsi e ricorsi professionali. Si perde, non si fa valere, che l’ITS è Alta formazione; quella che nelle statistiche fa numero assieme all’Università.
E’ necessaria allora una rivoluzione copernicana nel mondo degli ITS. Che metta al centro la domanda ed i territori. Territori fatti di imprese e lavoro, ma anche di Sindaci e comunità, gli stessi che un tempo fecero a gara per avere nel proprio territorio i propri istituti tecnici e commerciali ed i propri Licei e così orientarono famiglie e ragazzi spesso più di esperti e professori.
Una gara che veda in prima fila i territori cosiddetti periferici, ossia dove non ci sono né mai ci saranno sedi universitarie, epperò dove ci sono le eccellenze, specie nell’industria e dove è proprio di casa l’Alta formazione ITS. Anche perché con gli ITS il territorio non è solo un posto, dove oggi si prende il diploma o la laurea e chi sa dove si va poi a lavorare (e abitare). Con l’ITS lo studio ed il lavoro si realizzano insieme e nello stesso territorio. Qui ed ora. Sono radici, radicate, proprio quelle che più durano nel tempo.
Articolo pubblicato su Il Corriere del Veneto il 04/12/2020