Next Veneto EU, il recovery plan regionale post pandemia
DI IVO ROSSI E STEFANO FRACASSO –
L’aumento preoccupante dei morti e dei ricoveri di questo drammatico dicembre, ci pone di fronte a una realtà che, nel Veneto dei primati esibiti nella prima ondata, avevamo tutti frettolosamente rimosso. Questi numeri e il grave stato di sofferenza delle strutture sanitarie, mostrano che i compiti da fare a casa sono davvero ancora molti, e non solo nel campo della sanità. Quei numeri, fatti di volti, di nomi e di storie, non ammettono piccate giustificazioni. Richiamano tutti, in primis chi ha più alte responsabilità, a tornare con i piedi per terra, a rimboccarsi le maniche, facendo senza trionfalismi i conti con il Covid e progettando il futuro che verrà. Per questo è essenziale ragionare fin da subito sul “Next Veneto Eu”, la sfida regionale del Recovery plan. Ci piace chiamarlo così, perché richiama la vocazione europea e i solidi rapporti con i paesi d’oltralpe di questa nostra grande regione. Next Veneto UE ci obbliga a immaginare il futuro possibile post pandemico in un mondo flagellato dai cambiamenti climatici, che assume la sostenibilità ambientale quale nuovo paradigma dello sviluppo, un paradigma che obbliga a immaginare la creazione di una nuova sostenibilità istituzionale, una nuova governance necessaria per guidare processi sempre più complessi e interconnessi.
Nessuno possiede ricette miracolistiche. Non saranno progetti pensati in un mondo precedente ad alimentare la spinta necessaria per rigenerare la nostra economia e a ridurre le intollerabili disuguaglianze sociali che il virus lascerà in eredità. Non basta aprire vecchi cassetti polverosi per costruire una proposta di Piano Regionale per la ripresa e la resilienza (PRRR) degno di questo nome.
Le 400 pagine presentate nei giorni scorsi, fatte di schede che rinviano a progetti dormienti, spesso non in linea con gli indirizzi europei, prive di priorità e di visione strategica, rischiano di farci trovare impreparati alla svolta necessaria.
Così, come vediamo i limiti delle proposte avanzate, siamo anche consapevoli di non possedere soluzioni salvifiche che possono invece scaturire solo da un largo confronto fra la politica e la società veneta, le sue categorie economiche, sociali e sindacali, e il necessario raccordo con le scelte nazionali. Solo dal confronto serrato, da una grande mobilitazione volta alla creazione di un nuovo patto può nascere la scintilla che aiuta a trovare tutti assieme la via nuova. E’ una strada obbligata, anche se gli ultimi anni di generalizzato ‘pensiero unico’, di allergia al confronto e alla dialettica, hanno disabituato la nostra società al valore generativo del confronto.
Nell’immaginare i progetti da mettere in campo dobbiamo avere chiaro il riferimento al nostro sistema di piccola e media impresa, fondamento del benessere della nostra regione degli ultimi trent’anni. Dobbiamo chiederci quale sarà il “mestiere” che il Veneto immagina di fare nel futuro in rapporto/competizione e a confronto con le altre economie. E quali caratteristiche dovrà possedere il capitale umano necessario. Dobbiamo chiederci con quali interventi si potranno attrarre capitali per irrobustire la creazione di benessere per le nuove generazioni. Dobbiamo interrogarci in che modo saranno aiutate le imprese che usciranno dalla crisi con una grande deficit di liquidità. In che modo saranno supportate nell’accesso al credito, considerato che il nostro territorio ha colpevolmente dissipato negli ultimi anni le “sue” banche. Come la manifattura veneta si aggancerà alle trasformazione del mondo digitale e all’industria 4.0. Dobbiamo rendere misurabile il tasso di rendimento sociale, economico e ambientale dei progetti messi in campo. Il fronte ambientale è la sfida del post-Covid: taglio delle emissioni di CO2 e transizione energetica sono una necessità che può diventare virtù per un regione come il Veneto. Non può che essere questo il criterio con cui valutare anche i vecchi progetti – quelli in linea con le priorità indicate dalla Commissione europea – che si chiede vengano finanziati. Per questo è necessario avviare una grande riflessione del Veneto su stesso e sul suo futuro.
In un passato recente troppe scelte sono apparse figlie della mera convenienza politica, più legata alle appartenenze che a una visione strategica. Il territorio è stato letto e interpretato nella sua dimensione indistinta, non riconoscendo la necessaria dimensione metropolitana dell’area centrale veneta, senza individuarne i luoghi propulsivi, quelli in grado di fare da traino allo sviluppo.
L’indistinto policentrismo territoriale delle scelte, che ha contraddistinto gli ultimi anni di governo del Veneto, ha bisogno di essere reimpostato e corretto e il grande piano europeo offre un’occasione straordinaria. Questo è il tempo per individuare le priorità che ci consentano di esprimere il grande potenziale del sistema d’impresa e del capitale umano della nostra regione.
Il Next Veneto EU è una occasione imperdibile in cui si misurerà, assieme ai progetti, la capacità di andare oltre l’ordinaria amministrazione. Dentro le tempeste, come quella che stiamo vivendo, la buona amministrazione del presente non basta, serve il coraggio di scelte piene di futuro.